La cucina calabrese

La Calabria è una regione che fin dall’antichità, è stata la culla di molti popoli e culture diverse, come la Magna Grecia, l’impero romano, arabi, spagnoli, francesi, la cucina ha risentito molto dei loro influenze. Un ruolo fondamentale è stato ricoperto, dalla vita religiosa e spirituale, il cibo serviva a soddisfare sia esigenze fisiche che quelle dell’anima. Ad ogni festa religiosa, corrispondeva un rituale e una pietenza, ad esempio a Natale e dell’Epifania, la tavola veniva bandita a festa con 13 pietanze; a Pasqua non poteva mancare l’agnello, e alcuni pani denominati ‘cuddruriaddi’; per l’Ascensione si preparavano i ‘taglioni al latte’; durante la festa di Santa Chiara il pane azzimo, per San Martino il baccalà fritto. I calabresi di un tempo, erano molto più legati alle tradizioni e alla religione, molto più attenti nel rispettare le regole morali, il cibo diventava un momento molto importante da condividere con gli altri, divenendo uno strumento di unione. Ad esempio il ‘Il Rito del Maiale’, alcuni sostengono che veniva macellato durante il carnevale, altri durante Santo Stefano,  si pensa che questa usanza abbia origini greche.

Il Rito del Maiale

Vi erano molte prassi da rispettare, nel luogo dove veniva allevato il maiale, occorreva spargere le ceneri di piccoli arbusti di ulivo, insieme ad olio e sale, facendo tre volte il segno della croce, per mandare via il il cosiddetto ‘malocchio’. Ogni giorno il proprietario, dialogava con essi come se fossero delle persone e dovevano ripetere alcune strofe: “Ricchia  e  Ricchiella,  ti   pasciu  e   ti   ngrassu,    quandu mori chi mi dassi?”; si pensava che pronunciando questa frase il maiale mangiava di più. All’abbattimento del maiale, prendevano parte tutta la famiglia, gli amici e parenti, ecco che diveniva un momento di festa ma soprattutto di socializzazione. Le donne raccoglievano il sangue in un recipiente, il quale veniva destinato per fare il ‘saguinaccio’, ossia una sorta di crema dolce, a base di cioccolato fondente amaro, con noci tritate. Alcune parti venivano arrostite e mangiate al momento, altre venivano utilizzate per farne dei prelibati insaccati, veniva utilizzata ogni sua parte interna ed esterna, il grasso, i cicoli, il lardo, persino le ossa spolpate venivano serbate in salamoia per essere poi cucinate con le verdure durante la stagione invernale. Con le zampe, le orecchie ed alcune parti della testa, si preparava la ‘gelatina’.

Le Conserve

Durante gli assedi dei pirati turchi, la popolazione calabrese, poteva cibarsi proprio grazie alle conserve, oggi preparate con fini differenti, per poter conservare le tradizioni e per degustare alimenti sani e genuini. Tra questi ritroviamo le acciughe sotto sale, le verdure sottolio, i pomodori seccati, anche ad esse sono connesse preghiere, auspici, scaramanzie, durante le loro preparazioni. L’acquisizione di questa tecnica risale alla colonizzazione greca e fenicia, mentre è con i bizantini che i calabresi imparano ad essiccare il pesce, una particolare attenzione è per le acciughe. Tra le tante ricordiamo le salse piccanti, i funghi sott’olio, la sardella, nel mese di agosto è dedicato alla produzione della salsa di pomodoro.

La regina della cucina calabrese è la verdura, in particolar modo la melanzana, pomodori, peperoni le famose cipolle rosse di tropea e le fave. Le melanzane devono essere raccolte ‘quando è da luna’, ossia quando la luna è piena, provengono dall’arte culinaria latina e bizantina.

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