Uomini donne e bambini raccontati con passione attraverso scatti di vita quotidiana

African Heroes_Matteo Guzzini_

Matteo Guzzini sorride e intrattiene i visitatori, per la maggior parte persone mature e distinte, con la disinvoltura di chi ha 40 anni e ne dimostra meno…i capelli arruffati, l’aria naif, i bracciali barattati con i Samburu più anziani sul polso destro e l’orologio consigliato dal papà sul sinistro, che ben presto raggiungerà la sua tasca, completano il quadro di questo affascinante narratore, tanto abile con la macchina fotografica, quanto con l’eloquio.

African Heroes non è solo il nome di una mostra fotografica, ma è anche il titolo di un affascinante libro, che contiene gli scatti “rubati” alla vita quotidiana della tribù Samburu, con la sua Nikon D 700 full HD, non modificati in nessun modo, né attraverso l’uso del flash, né attraverso Photoshop: “non lo so usare..” ha ammesso candidamente il fotografo.

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Un popolo fiero, di antiche discendenze, imparentato con i più noti Masai. Una tribù elegante nell’aspetto e nelle parole di Matteo Guzzini, che tra di loro ci ha vissuto per due mesi e mezzo  e si è nutrito di usi, costumi, miti e leggende veri e presunti. I Samburu  ritratti negli scatti oggetto della mostra sono prima di ogni cosa guerrieri. Noti infatti per essere stati i primi a scacciare gli invasori inglesi, vantano un altro –seppur triste- primato: sono il primo popolo a cui sono state concesse le armi, con le quali purtroppo hanno devastato flora e fauna, i pochi sopravvissuti sono gli animali ritenuti sacri quali  uccelli, lepri e animali con un zoccolo solo – iene e zebre-.”Ho visto anziani piangere per questo”, confessa Matteo Guzzini, con occhi commossi.

La mostra African Heroes, reduce dal successo al Fotofestival a Milano, è presentata in  allestimenti che mutano di volta in volta. Se nella città meneghina il pubblico ha potuto specchiarsi negli occhi dei ritratti di uomini, donne e bambini Samburu esposti, nella capitale sono in mostra nove immagini, montate su un supporto di alluminio che ritraggono uomini,  tutti di spalle, intenti al festeggiare le nozze di una coppia, compiendo dei balzi. È tradizione  degli uomini Samburu, infatti, saltare di fronte alla sposa e al suo corteo nunziale per mostrare la propria forza e grandezza. Alla richiesta del motivo della scelta di ritrarre i soggetti di spalle, la risposta è stata talmente semplice e naturale da risultare geniale: “era l’unico modo per scattare, non avevo il flash e la luce iniziava a scarseggiare, avrei forse dovuto chiedergli di spostarsi a favore di camera?”. Un elemento straniante, indice della globalizzazione a cui è sottoposto un popolo che appare tanto remoto, che emerge dalle immagini, è l’abbigliamento dei protagonisti delle foto: al rosso, all’ocra e al blu degli abiti tipici si alternano magliette bianche, mentre i piedi nudi di alcuni stridono con le scarpe da ginnastica della Nike e sandali bianchi in gomma.

Un altro allestimento di cui Matteo va particolarmente fiero è quello relativo agli scatti del rito di passaggio: ogni sette anni avviene il passaggio generazionale tra guerrieri, addestrati fin da bambini ad avere un ottima mira, sia con la lancia che con i fucili. Le armi infatti sono presenti anche nella routine giornaliera dei Samburu, come nel caso del taglio della legna con il macete, che accanto all’accensione del fuoco e la mungitura scandiscono l’arrivo di ogni nuovo giorno. “Ho munto anche io” dichiara Matteo ”a seconda del mio umore, le capre o le mucche”.

Il suo prossimo obiettivo è la costruzione di un dormitorio –che affiancherà la scuola già realizzata grazie alla generosità di tanti-, per garantire sicurezza alle donne, soprattutto alle più giovani,  perché sebbene sia una società matriarcale le donne vengono spesso ingravidate e abbandonate al loro destino. E visto che i sogni a volte si avverano il fotografo di Recanati vorrebbe portare dei pannelli solari e aprire una finestra sul mondo, sulla realtà che circonda i Samburu. Così come lui ha aperto gli occhi a chi legge nelle sue fotografie.

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