Narcisista

L’esordio potrebbe trarre in inganno. Chi come me la conosce e la ama, sa benissimo di chi sono questi versi.

L’intramontabile Alda Merini. Una leggenda nel panorama della letteratura italiana.

Ma non è di lei che oggi voglio parlarvi. Per quanto, se ci fosse stata, avrebbe rappresentato benissimo le “partigiane di quasi un secolo fa.

Sentito mai parlare delle donne della Resistenza? Le famose staffette.

Sono tantissime le donne che hanno preso parte alla Resistenza italiana. Settantamila, se non di più.Portavano cibo, armi, riviste, materiali di propaganda. Rischiavano la vita. Venivano torturate e violentate.

Incapaci di difendersi, Non era concesso loro portare armi. Tante donne hanno protetto i partigiani, nascondendoli, curandoli.

Infine, le guerriere vere e proprie, quelle che hanno preso parte alla lotta armata.

Non saranno le donne alla quale si riferiva la Merini. Ma concedetemi quest’ennesimo connubio fuori dalle righe.

Sarebbe bello poter chiedere direttamente il permesso ad Alda. Sono certa me lo avrebbe accordato.

Sapete perché? Perché sono donne che hanno sofferto, lottato, amato, ma di cui nessuno, per tanto, troppo tempo, ha mai parlato.

Il loro ricordo è entrato solo recentemente nella storia ufficiale della Resistenza italiana.

Come ricorda la storica Simona Lunadei Dopo la fine della guerra, direi a partire dal 1948, c’è stato una specie di silenzio generale sulla resistenza femminile”.

Eccole le Donne Donne! Guerriere, amanti, forti, ma apparentemente” comuni”. Nessuno si ricorda di loro, ma se le conosci non puoi più farne a meno.

La Resistenza è stata anche una battaglia al femminile. Le staffette partigiane hanno combattuto con gli uomini. Una battaglia fatta di piccoli, grandi gesti, muti agli occhi degli altri. Forti tra i ricordi di chi l’ha vissuta.

Alda ti accoglieva nella sua umile dimora. Adornata dei suoi enormi gioielli e il suo immancabile rossetto rosso. Sul suo tavolo vino e dolcetti. In una stanza dominata dal fumo delle sue sigarette. Ed infine i suoi versi. Forti, veri, crudi! Ed ancora la follia, l’internamento. Una vita in guerra con sé stessa e gli altri.

Il ritratto vero della vita, quella vera.

Le staffette pedalavano, pedalavano veloce, sulle loro biciclette. Correndo, in silenzio, queste donne hanno fatto la storia d’Italia.

Mosse dalla passione hanno affrontato il nazifascismo a mani nude. Lo rifarebbero?

Lo rifarei cento volte. È stato il periodo più entusiasmante della mia vita… Ma lo fai con una tale passione che niente può farti cambiare”. Eccolo qui, nero su bianco, lo spirito che solo una donna può tirare fuori nei momenti più bui.

Suona come un monito dalle labbra di Dina Croce, una delle tante eroine della nostra Resistenza.

Provate ad immaginarle, nei loro umili abiti anni ’50. Umili come i loro sguardi, i loro sorrisi. Magari tante di loro erano madri, mogli, figlie. La guerra sulle loro spalle, la povertà nelle loro case.

Si sa, e questo momento insegna, ogni grande crisi porta la miseria. Miseria che non vive non solo nelle nostre tasche. La miseria che più spaventa è quella che, in momenti bui, si annida nei cuori.

Alda, anche lei, questa miseria la conosce bene. Ma non la miseria del cuore, quella no. L’ha difesa fino all’ultimo respiro, così come l’hanno preservata le nostre grandi donne della Resistenza italiana.

Questo 25 aprile, chiuse nelle nostre case, in simbiosi con i nostri pensieri. Persi in tempi dilatati e spazi indefiniti, un pensiero dedichiamolo a loro.

Ci sono le donne… ma soprattutto ci sono le Donne Donne.

Gli ideali non muoiono, tantomeno cambiano. Le staffette, simbolo dell’emancipazione femminile, ci lasciano una grande eredità.

La libertà, amiche mie… La libertà non è scritta nel nostro codice genetico. Urliamola, in silenzio se vogliamo, ma non lasciamo che un pensiero, un uomo, la vita possa portarcela via.

Il nazi-fascismo può avere mille facce, non è detto ci sia sempre qualcuno contro cui puntare il dito. Spesso la dittatura sono i limiti che noi stesse ci imponiamo.

Un giorno ho preso la bicicletta” racconta una sopravvissuta alla lotta partigiana. “All’improvviso sono caduta a una curva, tra gli ostaggi appena fucilati. Tutti giovani. ‘Vai via, vai via’, mi hanno urlato dalle case ‘sennò ammazzano anche te’. Una cosa tremenda“.

Fiera, la partigiana Ebe racconta come tenne testa a un tedesco. “Ci rinchiusero in una stanza insieme alle prostitute” ricorda “c’era un’unica brandina. Venne un tenente medico delle Ss. Il mio fratellino aveva avuto una tata dell’Alto Adige, avevo imparato la lingua, parlavo benissimo il tedesco. Ho giurato: non lo parlerò mai più e l’ho dimenticato. Allora urlando gli dissi che in base alla convenzione di Ginevra avevamo diritto ad avere tutti una brandina. Questo urlava più di me, io urlavo più lui, erano tutti allibiti, se ne andò urlando, Morale il giorno dopo la mia brandina arrivò

Ci sono donne… Poi ci sono le DONNE DONNE! Fatene tesoro.

La brandina” arriverà anche per noi…

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